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“Svegliaaaa la colazione è pronta!!!”
Questo è il suono che gli ospiti del Nibbio hanno udito alle sette e un quarto del mattino di una bellissima e soleggiata domenica di Febbraio.
bird whatchers
Avevo ricevuto l’ordine di “sbrandare” un gruppo di bird whatchers, calatisi in Polesine armati di canoa canadese, che si era prefissato di pagaiare un tratto del Po di Maistra alla ricerca degli ultimi uccelli invernali in procinto di partire, ed i primi ospiti che stavano arrivando a nidificare nei canneti.
Il Parco del Delta de Po, infatti, è una sorta di hub, ovvero un naturale dispositivo di rete che funge da nodo di smistamento di centinaia di varietà di uccelli diretti o provenienti da tutte le aree del mondo…un pò come quello che noi umani siamo riusciti a riprodurre nell’ultimo secolo, costruendo gli attuali aeroporti intercontinentali.darsena
Dopo una mezz’ora, e dopo essersi rimpinzati per bene con una lauta colazione, la comitiva ha fatto armi e bagagli ed è partita per la loro caccia alle immagini in direzione Boccassette.
 
Ma perché loro si e io no?
Il tempo di rassettare la locanda, fare quattro conti, e poi via in darsena a recuperare il mio kayak: direzione laguna e Scanno Cavallari, un’isola lunga e stretta che si trova di fronte a Porto Levante.
 
Era la mia prima uscita della stagione, il freddo e il grigio dell’inverno erano ormai alle mie spalle, e davanti a me si presentava un sole tiepido, una leggera brezza e una laguna piatta come l’olio.
 
“Dove pensi che non potrebbe succedere mai niente, succede sempre qualcosa” Massimo Zamboni, “Anime Galleggianti”
 silezio
A metà del mio tragitto ho tirato su la pagaia e mi sono fermato, incuriosito da una strana sensazione che mi aleggiava intorno. C’era un silenzio irreale, non si udivano voci di persone, nessun rumore di motori di barche, nessun aereo volava sopra la mia testa. Niente di niente: solo l’attrito del vento che accarezzava le mie orecchie, le piccole onde che sbattevano sul kayak ed il mio respiro.
Per cinque interminabili minuti ho potuto provare quello che un essere umano avrebbe potuto sentire al mio posto mille anni fa, o diecimila anni fa.
Ero completamente immerso nel silenzio, quello che non siamo  più abituati a sentire, quello che per qualcuno è un rumore assordante ed inquietante, quello che invece da sempre è stata la colonna sonora della nostra esistenza evolutiva.
Quel silenzio che mi ha portato a spogliarmi completamente dall’illusione di fare parte di una specie eletta capace di poter decidere del destino del mondo; quel silenzio che mi ha condotto alla soglia di percezione di fare parte integrante degli elementi che mi circondano, dato che anch’io sono elemento acqua, venuto fuori dall’acqua milioni di anni fa, ed evoluto in terra grazie ad essa.
 
Io, essere miracolato dal dono della vita.
 
Soltanto il guizzo di un cefalo saltato fuori dall’acqua mi ha svegliato dall’incantesimo.
Mi era venuta fame, lo stomaco mi ordinò di girare immediatamente il kayak e tornare a riva, mi aspettava un panino e una birra ghiacciata.
 
È stato lo spuntino più delizioso da trent’anni a sta parte!

Chi è stato a Porto Levante sa che è un piccolo villaggio di pescatori, sospeso fra laguna, mare e fiume, nel bel mezzo del Parco Naturale del Delta del Po. Sa anche che non è un luogo immediatamente raggiungibile, trovandosi lontano una decina di chilometri dalla Statale Romea, quindi fuori da tutte le grandi rotte commerciali e turistiche di massa.
Per raggiungerlo bisogna  passare attraverso una vastità di campi e risaie che si estende a perdita d’occhio: soltanto la lontana ciminiera della vecchia centrale elettrica di Porto Tolle rompe il piatto orizzonte del Polesine.
Chi è diretto per la prima volta a Porto Levante si trova ad essere un po’ disorientato nel cercare dal finestrino qualche indizio che lo riconduca ad un mare, o una laguna, ma non troverà nulla se non scorgendo la testa di qualche airone che sbuca dai campi di frumento, o di gruppi di cormorani pigramente appollaiati sui fili della luce. La comparsa di un ramo del Grande fiume, però, lo conforterà dicendogli che la direzione intrapresa è quella giusta.
È questa la caratteristica che più contraddistingue questo luogo: è lontano da tutto e da tutti, e campi e risaie diventano una sorta di zona cuscinetto, che separa la civiltà frenetica e ansiogena, dal silenzio e dalla tranquillità della natura. Comunque sia, per i disorientati ospiti arrivati a destinazione, basta il tempo di farsi una doccia, una passeggiata lungo il fiume per sgranchirsi le gambe, una bella boccata di ossigeno, e sentono presto che il veleno della città inizia a defluire per fare posto alla serenità.
Poi il silenzio e l’odore delle griglie del ristorante a fianco fanno tutto il resto!
Ma c’è chi salta a piè pari questa impasse.
Una mattina di metà Giugno mi trovavo sul molo di fronte alla locanda a chiacchierare con dei pescatori del posto. Loro mi mostravano orgogliosamente una cesta piena di pesci , e, con il loro dialetto, mi erudivano sui segreti del Grande fiume. “Co la corente  vien dentro al fiume se pesca orate, e co la va fora vien su bòseghe, co la marea ze bassa se va a peoci, co la ze alta se va in mar”  Stare con loro è proprio uno spasso, il tempo passa senza che te ne accorgi.
Lontano, all’orizzonte, vidi avvicinarsi due macchiette colorate di rosso e di giallo, muovendosi lentamente  lungo il fiume.
“Hei del Nibbio, avete una camera libera?”
Erano due amici partiti da Cremona con la loro canoa, decisi a navigare lungo il Po fino alle sue foci per poi raggiungere il mare.
IL GRANDE FIUME
Ovviamente volevo scoprire cosa aveva spinto questi due personaggi a montare su una canoa e pagaiare per tanti chilometri dalla Lombardia fino all’Adriatico e, ovviamente, si finì a cena!
Tra spaghetti allo scoglio, bisatti e branzini alla griglia e, naturalmente fiumi di Prosecco, potete ben immaginare quali storie e quanti aneddoti vennero fuori dai loro racconti.
La cosa che più mi fece riflettere, però, fu che, dalle loro facce e dai loro sguardi, le zone cuscinetto neanche le avevano viste, perché dalla prospettiva data dalla canoa, la civiltà, e tutto ciò che ne deriva, rimaneva ben lontana dalle rive del Grande fiume.
Comunque, tanto è bastato, che il giorno successivo sono salito in auto e sono andato a Treviso per tornare a casa con quattro kayak e tre canoe.
E stato lì con loro infatti che ho capito che il Polesine deve essere visto da un’altra angolazione, non soltanto da sopra la sella di una bicicletta, come fino a quel momento avevo fatto.
E ciò che successivamente ho scoperto, stando sopra a queste  piccole imbarcazioni, e vedendo, vivendo e respirando questo luogo da un altra dimensione, ha cambiato definitivamente il mio approccio con questa stupefacente meravigliosa ed immensa creatura chiamata Parco del delta del Po.
LA MIA FLOTTA