Luigi e Alessandro sono padre e figlio, ultimi discendenti di una antica famiglia di pescatori del Polesine. Vivono a Boccasette, un paesino che si trova nella campagna polesana ad un paio di chilometri dalla foce del Po di Maistra. Conta quattro case, un ufficio postale, un bar tabaccheria ed una chiesetta con un campanile appuntito; tutto attorno campi e fiumi a perdita d’occhio.
Tre anni fa ho conosciuto Alessandro, “Domenga Dsira” (domenica sera in polesano) come simpaticamente lo chiamo io. Lavora nella centrale termoelettrica di Polesine Camerini, un archeomostro tutto cemento e ferro con una ciminiera alta oltre 250 metri che sovrasta il piatto orizzonte circostante, costruito negli anni ottanta e concepito per soddisfare l’8% del fabbisogno nazionale di energia elettrica, ma che alla fine ha inquinato così tanto da fare la fortuna dei marmisti del luogo riempiendo di lapidi i cimiteri circostanti. Da circa un decennio l’impianto è finalmente chiuso, e Domenga Dsira lavora per un’impresa che si occupa di smaltire il materiale ancora in giacenza.
Un giorno mi ha detto “Leo, qua non c’è solo la Centrale, vieni a fare un giro con il mio battello che ti faccio vedere un posto che ti sorprenderà”
Ok andiamo.
Aveva ragione, eccome se aveva ragione! Perché il Po di Maistra sembra il Mekong: un fiume lussureggiante e selvaggio con una vegetazione così fitta che i suoi rami si immergono dentro al fiume ostruendo parzialmente il passaggio del battello. Versi di uccelli ovunque, dagli aironi cinerini alle garzette, e poi stormi di germani e cormorani che riescono a macchiare di nero quel poco di cielo limpido e azzurro che riesce a filtrare attraverso i rami e le foglie degli alberi. E ancora pesci che balzano fuori dall’acqua facendo salti così alti da riuscire ad entrare fin dentro alla barca. Le uniche presenze umane le si scorgono sui bordi del fiume, dove in mezzo alla boscaglia ci sono dei capanni e dei pescatori che se ne stanno tranquillamente seduti su uno sgabello, con la canna da pesca in una mano, e una birra nell’altra. Oppure si vede qualche escursionista che lentamente risale il fiume in kayak o in canoa. E qua e là spuntano dei tubi in cemento che nel secolo scorso servivano per estrarre il metano sotterraneo, segni di quello scempio che portò all’abbassamento del livello del suolo e che mise il Polesine in balia di alluvioni apocalittiche.
A bordo era salito anche suo padre Luigi, un autentica enciclopedia vivente, ma non una guida asettica, tutta diplomi ed internet, bensì un uomo di settant’anni, con occhi grandi neri, boccoli grigi, rughe scavate dal sole e calli alle mani, nato e vissuto nel fiume, e con un bagaglio inestimabile di racconti, aneddoti, cenni storici tramandati di padre in figlio, sapientemente raccontati con una genuinità disarmante. Durante quella escursione ha tirato fuori di tutto, dalle mappe storiche sull’antico corso del Po, agli articoli di cinquant’anni fa sulle alluvioni e sulle bonifiche… e, perché no, anche un salame e una bottiglia di rosso che non guasta mai!
Di fronte a cotanta meraviglia ho detto loro: “Sentite voi due, ma perché tutta sta roba non la diciamo al mondo? E’ un peccato mortale che ve la teniate per voi!”
“Ma mi non so, chi vuto che ghe interessa sto fiume e i me racconti, ze tutta roba vecia”
Ed è così che ho pensato un percorso, prima in bicicletta, partendo da Porto Levante, passando attraverso la Via delle valli, ove stanziano fenicotteri, cavalieri d’Italia e decine di altre specie di uccelli; poi in barca da Boccasette fino a Porto Tolle e ritorno.
L’ho proposto ai primi avventori della Locanda e il successo è stato tanto che, a distanza di tre anni dalla mia prima escursione, i clienti vengono da me perché il giorno successivo si aspettano di fare quella escursione in bici e in battello.
La soddisfazione maggiore me l’ha data Alessandro però, quando ha preso coscienza che da quel fiume avrebbe potuto trarre per sé un futuro migliore, semplicemente facendo quello che sapeva fare bene: guidare il suo battello e dare una speranza di rinascita per chi vive in quel territorio così tanto offeso ed annichilito da decenni di stupri ambientali che, con l’illusione di una vita migliore, hanno causato tremendi lutti e migrazioni.
Ah dimenticavo: sapete perché la “vongola filippina” ha cambiato i destini della gente del Polesine? Salite in barca e fatevelo raccontare da Luigi, ne rimarrete sorpresi!