Anch’io sto facendo i miei personal exit poll, ed ecco cosa ho scoperto facendo una statistica sulla provenienza degli ospiti per i prossimi mesi.

Incredibilmente salta all’occhio che più del 90% delle prenotazioni arriva dall’estero.

Avrei preferito vedere qualche tricolore in più, tuttavia opto per il bicchiere mezzo pieno, nel mio piccolo ho contribuito a fare sapere al mondo che in Italia esiste anche questo piccolo angolo di Paradiso.

“Pronto ciao sono Marina, ho la mia barca ormeggiata qua a Porto Levante. Ho visto dal tuo sito web che hai degli appartamenti nei dintorni, ne hai uno libero per i miei genitori che vengono a trovarmi?”

“certo che si, fra dieci minuti vengo a portarti le chiavi”

Ogni tanto succede che chi ha una barca in darsena si rivolge a me per ospitare amici o parenti.

Raggiungo l’imbarcazione ormeggiata in marina, e trovo ad accogliermi una ragazza con il suo compagno e i loro due figli.

“Ciao Leo, sali in barca che ti offro un caffè”

Era una giornata veramente fredda e ventosa, di quelle che stai bene davanti al caminetto con la copertina; ci voleva proprio una bella tazza calda per scaldare la pancia.

Tazza che ha scaldato anche il cuore, dato che dall’improvvisato convivio ne è venuto fuori un racconto che ancora adesso mi lascia a bocca aperta.

“Sai Leo, io e Fabio avevamo un lavoro che ci dava i soldi per vivere una vita dignitosa, avevamo la nostra casa, le nostre comodità, ci facevamo la nostra vacanza estiva. Si, tutto bello, ma questo sistema di vita ci portava a vivere come nella ruota dei criceti dentro una gabbia, ci sentivamo prigionieri delle cose materiali, L’idea di casa che per molti è il coronamento del loro sogno di avere un proprio focolare domestico. Per noi invece era la paura di entrare in un perpetuo meccanismo che in sequenza si sarebbe tradotto in sveglia-colazione-doccia-lavoro-pranzo-lavoro-cena-televisione-letto.

Per la mia famiglia rimanevano solo gli spiccioli del weekend, ma c’era troppo poco tempo per fare tutto ciò che non si era riusciti a combinare durante la settimana. La nostra era sì una famiglia, ma solo sulla carta, di fatto eravamo quattro anime che occupavano lo stesso tetto, con interazione fra di noi ridotta al lumicino.

E tutto questo per cosa? per ritrovarci una casa e una vita piena di cianfrusaglie e bisogni inutili, due soldi nel cassetto, e zero tempo per me Fabio e i nostri figli?”

“Eravamo di fronte ad un bivio: rimanere nel nostro brodo vita natural durante, oppure rompere totalmente gli schemi, e riappropriarci della nostra vita.

Ma bisognava avere un piano per disancorarci da un sistema colabrodo che fa acqua da tutte le parti.

Quale idea migliore se non usare la stessa acqua per farci navigare i nostri sogni?!

Ed ecco il piano: via la casa, via il posto fisso, via agli abbonamenti alla televisione, via tutto! Con quei soldi ci siamo comprati una barca, l’abbiamo ristrutturata, messa in acqua, ed ora ci apprestiamo a salpare da Porto Levante per un viaggio itinerante in giro per il Mediterraneo. Durerà mesi, anni, boh, intanto partiamo!”

La domanda sorge spontanea: ma come farete a sbarcare il lunario?

“Abbiamo un po’ di risparmi, ma vivremo di sponsor, faremo charter, e mangeremo anche con quello che ci dà il mare. Ma avremo un sacco di tempo per pensarci”

capitani_coraggiosi-img2Si ok ma i marmocchi dovranno pur studiare, no?

“Certo, i nostri figli riceveranno un educazione parentale, in pratica noi gli faremo da maestri, e a fine anno dovranno sostenere un esame di stato, ovunque essi siano.”

“Ma poi pensa quale grande occasione daremo a loro, potranno visitare e toccare con mano luoghi come Cartagine, Atene, Alessandria d’Egitto, un privilegio che pochi dei loro coetanei hanno, dato che chi frequenta una scuola “normale” non avrà mai queste opportunità se non vedere gli stessi luoghi in fotografia sui libri di storia o geografia. E poi pensa all’ apertura mentale che avranno quando si interfacceranno con ragazzini di culture differenti dalle loro….”

Certo che avete un coraggio incredibile!

“Si, ce ne vuole una bella dose, ma solo per fare il primo passo, quasi come quanto quello necessario per tuffarti da un trampolino, sotto vedi il vuoto e hai le gambe che tremano, ma tre-due-uno, e via, si vola, e quando riemergi dal tuffo hai un eccitazione tale che vuoi farlo di nuovo”

Messo i piedi a terra mi venne in mente una frase attribuita a Cristoforo Colombo che recita così :“L’uomo non può scoprire nuovi oceani se non ha il coraggio di perdere di vista la riva”

Penso che ognuno di noi nasce con una riva e un orizzonte.

E un trampolino.

Buon viaggio capitani coraggiosi

Di solito, quando inizio a scrivere un articolo sul mio blog, descrivo il Polesine, le bellezze che lo circondano e le persone che ci vivono, ma questa volta voglio parlare di me e della mia avventura in questo luogo straordinario, e ahimè, dei fatti spiacevoli che hanno pericolosamente fatto vacillare la mia volontà di rimanere a Porto Levante.
Faccio qualche passetto indietro nel tempo.
Prima di mettervi piede, parliamo del 2012, concludevo un’esperienza venticinquennale in una azienda vitivinicola in Friuli. 
Avevo un sogno: volevo fare del buon vino e, per realizzarlo, dedicavo tempo, entusiasmo e dedizione. Era un bellissimo mestiere. Dentro ad ogni bottiglia mettevo arte, cultura, spunti per solleticare i sensi; un lavoro che però venne duramente colpito dall’onda di quella crisi partita dagli Stati Uniti nel 2008 ed infrantasi rovinosamente anche sulle mie vigne, e ancor di più sulla mia passione nel creare il prezioso nettare. 
Ma tant’è, quando il fuoco dell’entusiasmo viene a mancare, inevitabilmente si finisce a leggere i titoli di coda.
Avevo deciso di chiudere baracca e burattini, di andarmene via dall’Europa, e di riparare a Montreal, Canada, alla ricerca di un nuovo sogno.
Però si sà: il destino gira a seconda di come gira il vento. A valige quasi chiuse, mi venne proposto di mettere naso in un territorio a me totalmente sconosciuto: il Polesine. Ai miei occhi era una landa piatta e dlocanda amici 3esolata, il niente a perdita d’occhio, inframezzata ogni tanto da qualche casetta colonica e lunghe righe di tamerici. Ricordo che il mio primo istinto sarebbe stato quello di girare immediatamente i tacchi e imbarcarmi per il mio volo, destinazione american dream.
Poi….
Un giorno il mio amico Alessandro ha detto”Leo monta in barca, andiamo a farci un giro per il delta del Po” .
Altro che landa desolata! 
Quel territorio si è rivelato poco a poco in tanti piccoli pezzetti che sarebbero andati a formare quello che io adesso vedo: un meraviglioso mosaico che raffigura una delle più belle raplocanda amici 4presentazioni della Natura!
Di lì a poco conobbi una distinta signora che mi propose di prendere in gestione un edificio di sua proprietà, da poco ristrutturato, e ad uso locanda.
Il buon vecchio Martin Luter King mi stava ricacciando al mittente indicandomi la strada verso la terra promessa. Ed era là, esattamente sotto ai miei piedi, in mezzo a paludi ed acquitrini che si nascondeva il mio sogno.
E così fu che negli anni successivi “the dream” è diventato una meravigliosa realtà: quella di far conoscere al mondo un piccolo paesotto diroccato nel bel mezzo del Paradiso, Porto Levante, bruttino a vedersi ma intriso di mille segreti. Per arrivare a tutto ciò è bastata una piccola ma graziosissima locanda da sei camere. locanda amici1
Cosa c’era di più bello se non alzarsi alla mattina con l’entusiasmo di volere costruire un sogno? 
Avere una Locanda fatta a mia immagine e somiglianza, una Locanda che mi ha dato il dono di vivere 4 bellissimi anni a contatto con la natura che la circonda e con tutta quella gente che, sotto al suo tetto, ha vissuto assieme a me esperienze indimenticabili.
Locanda che il 30 Settembre dovrò lasciare. 
Con profonda tristezza ho dovuto prendere atto che gli occhi miei non brillano della stessa intensità di quelli della distintlocanda amici2a signora. Il divorzio era già stato scritto, sul mio cuore ancor prima che sulla carta.
Personalmente non credo di essere quello che si mette a cantare i requiem alla prima spallata, molto meglio un inno alla gioia, perché io a quella distinta signora devo profonda riconoscenza. Si perché, grazie lei, ho avuto modo di incontrare altra gente, ed altra ancora, e fra queste una in particolare che mi ha dato l’opportunità di continuare a vivere il mio sogno, dandomi in gestione tante altre piccole casette dove far sognare altri sognatori come me.
Ed è così che, come l’araba fenice, dalle ceneri di un sogno ne rinasce un altro, ancora più grande e luminoso, e sono sicuro che dalla sua linfa ne trarrò ancora più entusiasmo nel fare conoscere al mondo questo “piccolo grande mondo”, quell’incantevole angolo di Paradiso chiamato Polesine.
Io ho un sogno, e lo realizzerò.

grigliata locanda

Venghino Signore e Signori, si parte!! Sono arrivate le Vacanze di Agosto!
Le tanto aspettate, agognate e sudate ferie sono finalmente alle porte. E allora che si faccia partire il grande carrozzone, si chiudano le porte dell’ufficio e della fabbrica, si farciscano valigie e borse, e poi via, destinazione Paradiso!
 locanda il nibbio
Prendo in prestito una famosa frase del Manzoni “Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno…” per fare una riflessione su chi nei prossimi giorni avrà occasione di trovarsi in qualsiasi angolo del mondo, e sentirà qua e là parlare il napoletano piuttosto che il milanese o il romanesco (con buona pace della sindaca Raggi, ben felice che i suoi cari concittadini vadano a dissetarsi in rubinetti ben più pingui)
All’interno dei sopracitati confini manzoniani esiste anche la mia oasi polesana, Porto Levante, un sassolino in mezzo all’acqua, costituito da una manciata di case, un minimarket, una chiesa, quattro ristoranti e due bar. Ah dimenticavo, c’è anche una darsena, anzi due, una per le barche da turismo ed una per i pescherecci. passeggiata
Beh tutto qua? 
Si, tutto qua! 
Porto Levante non è nemmeno un quarto di un quartiere di una media località di mare (pensate che Lignano ha 1.500.000 posti letto, per intenderci quasi quanto Milano), è un microbo in mezzo al nulla, e per individuarlo su Google Earth bisogna restringere il campo fino a vedere le foglie degli alberi. 
Per darvi un idea su come vadano le cose da queste parti, di fronte a Porto Levante c’è un isola, lo Scanno Cavallari, lunga  4.5 km e larga 250 mt. raggiungibile in cinque minuti tramite un battello traghettandopassaggio in spiaggiache fa la spola continua con la terraferma. Se un giorno ci capiterete, troverete un ristorante tipico ( Il Ghebo)il ghebo quattro file di ombrelloni con sedie a sdraio, per una lunghezza di 350 metri. Tutto quello che troverete oltre è una spiaggia naturale, piena di rami di alberi raccolti lungo tutta la Padania dalle acque del Po, e trasportati e distribuiti a riva attraverso un gioco di correnti del mare e di quelle del Grande Fiume.  E questa, assieme a Boccasette, è la spiaggia più antropizzata del Polesine; ma parliamo di un area di migliaia di chilometri quadrati! 
Cerco di darvi un idea ancora più chiara circspiaggia d'agostoa questo luogo ai più sconosciuto: mi è capitato più volte di andare a fare vita di mare, anche a Ferragosto, in un isola poco distante da Porto Levante, e di passare l’intera giornata in spiaggia senza vedere anima viva; solo io, i miei amici, e pennuti di ogni genere a svolazzare sopra la mia testa! attracco per il ghebo
Per finire, sapete qual’è la cosa strana? che qua si sentirà parlare più frequentemente il norvegese, piuttosto che il tedesco o l’ungherese. E anche il francese, nonostante loro abbiano la più blasonata Camargue.
Ma davvero questo luogo è più conosciuto dagli stranieri che dagli italiani? Da quello che estrapolo dal libro presenze dalla mia Locanda, direi proprio di si. 
Insomma niente di nuovo sotto il sole, quasi tutti abbiamo avuto modo di visitare Il British Museum, o il Louvre, ma nessuno, o pochi di noi, avrà messo piede dentro al museo o all’orto botanico della propria città.
Buone vacanze a tutti. 

Abito a 30 km da Chioggia da tutta la vita, da sempre questa per me è la meta marittima facile e, lo ammetto, piuttosto snobbata. Oggi, però, ci arrivo da un lato che non mi è abituale, quello da dove è stata fondata: dall’attracco in piazza.

La città è festante, si sta già preparando per la sera, mentre noi andiamo veloci verso una doccia pensando a dove potremmo fermarci a mangiare tra qualche ora.

Alloggiamo in una pensioncina dal clima familiare, ma con un buon ricovero per le bici, pulita e ordinata (e con una fantastica prima colazione anticipo! ). La sera è piacevole qui, sia per passeggiare, sia per le vongole, ma non voglio soffermarmi troppo: a letto presto ché domani mattina si va a Porto Levante a prendere il sole.

Partiamo dall’albergo alle 9:00, pedaliamo sul lungomare che la ressa deve ancora venire (e meno male perché la ciclabile qui c’è, ma non è di facile interpretazione).

Oggi dobbiamo fare solo una trentina di chilometri e quindi ce la prendiamo comoda e ci guardiamo intorno passando dalle spiaggia agli orti della Chioggia del radicchio. Un passaggio rapisola verdeido per la strada statale Romea e siamo ad Isola Verde, altra località sottovalutata da chi, come me, la ritiene da sempre un posto scontato e invece i campi, che vanno da fiume a fiume (il Brenta da una parte e l’Adige più a sud), profumano di mare ed hanno un fascino tutto loro. Sono molto imbarazzata quando una coppia di sessantenni canadesi, in bici come noi, ci fermano per chiedere indicazioni e scopro di saperne quanto loro. Andranno in bici fino a Ravenna, un po’ perplessi perché si aspettavano una ciclovia che in realtà non c’è e che molto spesso si trova a dover scazzottare con la Romea.. Ma sono nel paese più bello del mondo.. E non posso certamente dar loro torto!

È bellissimo pedalare sulle rive dell’Adige anche se per poco visto che la nostra destinazione è ancora un pò più a Sud. Domani riprenderemo questa riva per tornare a casa.

Dalla settilagunamana prossima si potrà attraversare in barca da Porto Caleri ad Albarella e poi a Porto Levante (chiedete a Leo, lui vi dirà bene come fare), ma per ora mi tocca la statale: testa bassa e pedalare per una decina di chilometri, poi si imbocca la strada che va verso il mare e che già indica Porto Levante.

Da qui è la meraviglia che avete già letto in “Punti di Vista“, vissuta con il passo lento della bicicletta.

Ed ecco Leo.
Ho iniziato l’altro post immaginando di viaggiare con l’entusiasmo di chi ha 8 anni: non ci fossi ancora riuscita, basterebbe stare con lui qualche mezz’ora per acquisirlo. Conosco cavanaquest’uomo, a cui solo con la carta d’identità in mano e riesci a dare un’età, dal 2009 eppure sempre quando lo vedo non posso far altro che invitare il suo modo bambino di provare a far provare meraviglia.
 
Ci porta al Borghetto, appartamentini deliziosi in residence con piscina legati alla Locanda del Nibbio, poi Marisa, il braccio destro di Leo, ci fa ricoverare le bici con le loro (che vi noleggia se non volete fare la mia stessa scarpinata) e in un attimo di traghetto siamo al Ghebo (altre vongole) e poi in una spiaggia semideserta.spiaggia

Qui ci aggreghiamo ad altri ospiti della Locanda e poi, con loro, andiamo a passare una splendida serata bordo piscina alla Darsena, mangiando deliziosamente.

la giornata è finita: è tempo di andarsene sorridenti a letto…domani si rientra a casa!

Bisognerebbe viaggiare sempre come quando si ha otto anni, quando una gita appena dietro casa sa emozionare al punto da non lasciarti dormire.

È difficile trovare quell’emozione da grandi, eppure io credo sia la ricerca di essa ciò che ci spinge al viaggio.

Probabilmente è per questo che cerchiamo mete sempre più lontane, perché l’ignoto ci fa rivivere un po’ di quell’emozione. Oggi però che tutto è vicino grazie alla tecnologia, io credo dovremmo imparare ad essere turisti proprio attorno a casa nostra, dove ormai diamo per scontato e smettiamo di guardare con gli occhi di un bimbo di otto anni.

È per questo che ho voluto fare questo viaggio ed è solo dopo averlo fatto che l’ho definito tale: in un raggio di 60km circa ho trovato, infatti, tutto lo stupore e la meraviglia che credevo avrei potuto trovare solo a migliaia di km da casa.

 

PADOVA – VENEZIA

Rimando ad altri siti la descrizione tecnica del percorso (assolutamente poco rilassanti alpronticuni tratti tra Padova e Venezia dove non solo mancava una ciclabile ma anche la banchina era molto molto stretta) e vi racconto invece che ho trovato bellissimo partire da casa mia in bici, salutare la macchina in garage, legare ben stretta la borsa al porta pacchi.

Passo tra le piazze con le signore del centro che prendono il caffè, davanti all’università coi ragazzi che ridono e in 10 minuti sono sull’argine a pedalare nel silenzio di un venerdì mattina.

Noventana con Villa Giovannelli ed ecco che a Strà incontro il mio compagno di viaggio: in due è più facile guardarsi intorno e non spingere sui pedali controllando l’orologio.

Da qui a Dolo non si sa dove guardare (oltre alla strada..perchè abbiamo corso a destra del fiume, via molto meno trafficata, ma comunque poco confortevole): le ville a cui sono abituata fin da piccola sono una continua conquista.

Dolo, facciamo pausa: sia per una seconda colazione nell’irresistibile Caffè Commerciosia per fare la tanto famosa Carta Venezia (oggi si chiama Venezia Unica City Pass) allo sportello dell’ACTV (pronta in 2 minuti con 20€ e validità 5anni). Da ora in poi i traghetti, di cui acquistiamo già le tratte, costeranno 1.50€ a tratta anziché 7,50 e la bici 1€ (in alternativa c’è un biglietto giornaliero allo stesso prezzo).

Riprendiamo il lato destro del fiume e si ricomincia a pedalare. Sono le 9.00, ma fa già caldo. La strada però è sempre piacevolmente ombreggiata e ci ritroviamo a rallentare il passo chiacchierando e guardandoci intorno. Un po’ di malinconia arriva, soprattutto a me che in quelle zone ci sono nata, guardando i segni ancora evidenti del tornado di due anni fa e lo Spazio lasciato dalla bella Villa Fini.

Oriago di Mira: fine della pacchia. Da qui in poi siamo sulla statale, senza scelta. Testa bassa e pedalata sciolta per passare la rotonda di marghera e poi via Fratelli Bandiera a Mestre e tutta quella zona così brutta che solo la Bellezza di Venezia li accanto poteva compensare.

Tronchetto: si sale in traghetto (linea 17), con le bici…tutto facile,niente di tale in teoria…a me sembra di avere otto anni, in questa barcona lenta che passa per il Canale della Giudecca. Mi sembra tutto nuovo, tutto più bello e luminoso, mi sembra di essere un turista pur essendo nata in provincia di Venezia: vorrei non aver mai visto questa città per capire quanto stupore e meraviglia possa destare in chi la vede per la prima volta nell’età della ragione.

Meno di 40 minuti dopo siamo a Lido. Da qui il viaggio assume un ritmo differente, il ritmo spensierato che si ha solo in una città di mare.

 

LINEA 11

La Linea 11 collega Lido con Pellestrina e Chioggia. Piena zeppa di gente del posto che si sposta da una parte all’altra per lavorare, è proprio come il veneziano: un po’ di terra e un po’ di mare. Il vaporetto ti lascia in testa all’isola dove c’è un autobus che ti aspetta (non volendo pedalare) e ti porta all’altro capo (12km per lido e lido112 per Pellestrina). Qui trovi un altro vaporetto per la traversata. I mezzi sono puntuali e così frequenti che non serve affannarsi non perderli.

A Lido scendiamo vicino al Planetario: mi segno in testa che ci devo tornare.

Percorriamo quest’isola assolata, ma con tanti alberi a rendere piacevole la pedalata, che si fa lenta guardando calette e pinete. Abbiamo finito l’acqua, ma ci sono delle fontanelle in cui riempire leborracce. È bello qui: mi spiace aver prenotato troppo tardi e non aver potuto dormire all’Hotel Casanova come mi era stato consigliato da Leo (il Nibbio ci aspetta domani)…ma l’estate non è ancora iniziata: ci sarà tempo

Invece, causa overbooking dell’isola per manifestazione golfistica, pedaleremo ancora fino a Chioggia. Non è assolutamente pesante ma avrei voluto godermi un po’ di più Lido.

Aspettiamo su una panchina ombreggiata il prossimo vaporetto in cui saliamo assieme ai ben 2 autobus della linea 11 e, in un attimo pieno di gente che “qui si conoscono tutti”, siamo a Pellestrina.pellestrina1

 

Ne siamo assolutamente rapiti: 12km che racchiudono un sacco di meraviglie. Varrà la pena tornarci per spenderci un pò più tempo quanto prima!

Iniziamo a chiederci da quanto siamo partiti e quanto lontani siamo da casa, perchè ieri il lavoro e tutto il resto sono molto più lontani di quanto non sembri: sono solo le 13.30 e ci rendiamo conto che la fame è tanta!

Viziati dall’orario continuato dei negozi non abbiamo pensato che sarebbe stato difficile trovare qualcosa di aperto senza cedere ad un ristorante, ma diventa divertente quando alla fine elemosiniamo crostini ad un ambulante che ha solo formaggi e sopresse (non proprio quello che ci aspettavamo su un’isola assolata e, diversamente da Lido, senza ombra).

Mangiamo in una splendida spiaggia lunga e deserta, seduti su un albero portato da qualche mareggiata: questo è il formaggio più buono del mondo.

Ancora due pedalate in quest’isola assolatissima ed immersa in un’atmosfera lontana e siamo al vaporetto: ultimo tratto di mare e poi c’è Chioggia, la piccola Venezia.

Andiamo nella pensione che abbiamo prenotato a prepararci per la favolosa cena di pesce che ci spetta…e domani si va al Nibbio!

p.s.: sono Francesca…ho rubato la tastiera a Leo…gliela ridarò tra un pò

Luigi e Alessandro sono padre e figlio, ultimi discendenti di una antica famiglia di pescatori del Polesine. Vivono a Boccasette, un paesino che si trova nella campagna polesana ad un paio di chilometri dalla foce del Po di Maistra. Conta quattro case, un ufficio postale, un bar tabaccheria ed una chiesetta con un campanile appuntito; tutto attorno campi e fiumi a perdita d’occhio.

Tre anni fa ho conosciuto Alessandro, “Domenga Dsira” (domenica sera in polesano) come simpaticamente lo chiamo io. Lavora nella centrale termoelettrica di Polesine Camerini, un archeomostro tutto cemento e ferro con una ciminiera alta oltre 250 metri che sovrasta il piatto orizzonte circostante, costruito negli anni ottanta e concepito per soddisfare l’8% del fabbisogno nazionale di energia elettrica, ma che alla fine ha inquinato così tanto da fare la fortuna dei marmisti del luogo riempiendo di lapidi i cimiteri circostanti. Da circa un decennio l’impianto è finalmente chiuso, e Domenga Dsira lavora per un’impresa che si occupa di smaltire il materiale ancora in giacenza.

Un giorno mi ha detto “Leo, qua non c’è solo la Centrale, vieni a fare un giro con il mio battello che ti faccio vedere un posto che ti sorprenderà

Ok andiamo.

Aveva ragione, eccome se aveva ragione! Perché il Po di Maistra sembra il Mekong: un fiumePo o Mekong? lussureggiante e selvaggio con una vegetazione così fitta che i suoi rami si immergono dentro al fiume ostruendo parzialmente il passaggio del battello. Versi di uccelli ovunque, dagli aironi cinerini alle garzette, e poi stormi di germani e cormorani che riescono a macchiare di nero quel poco di cielo limpido e azzurro che riesce a filtrare attraverso i rami e le foglie degli alberi. E ancora pesci che balzano fuori dall’acqua facendo salti così alti da riuscire ad entrare fin dentro alla barca. Le uniche presenze umane le si scorgono sui bordi del fiume, dove in mezzo alla boscaglia ci sono dei capanni e dei pescatori che se ne stanno tranquillamente seduti su uno sgabello, con la canna da pesca in una mano, e una birra nell’altra. Oppure si vede qualche escursionista che lentamente risale il fiume in kayak o in canoa. E qua e là spuntano dei tubi in cemento che nel secolo scorso servivano per estrarre il metano sotterraneo, segni di quello scempio che portò all’abbassamento del livello del suolo e che mise il Polesine in balia di alluvioni apocalittiche.

Po

A bordo era salito anche suo padre Luigi, un autentica enciclopedia vivente, ma non una guida asettica, tutta diplomi ed internet, bensì un uomo di settant’anni, con occhi grandi neri, boccoli grigi, rughe scavate dal sole e calli alle mani, nato e vissuto nel fiume, e con un bagaglio inestimabile di racconti, aneddoti, cenni storici tramandati di padre in figlio, sapientemente raccontati con una genuinità disarmante. Durante quella escursione ha tirato fuori di tutto, dalle mappe storiche sull’antico corso del Po, agli articoli di cinquant’anni fa sulle alluvioni e sulle bonifiche… e, perché no, anche un salame e una bottiglia di rosso che non guasta mai!

Di fronte a cotanta meraviglia ho detto loro: “Sentite voi due, ma perché tutta sta roba non la diciamo al mondo? E’ un peccato mortale che ve la teniate per voi!”

Ma mi non so, chi vuto che ghe interessa sto fiume e i me racconti, ze tutta roba vecia

Ed è così che ho pensato un percorso, prima in bicicletta, partendo da Porto Levante, passando attraverso la Via delle valli, ove stanziano fenicotteri, cavalieri d’Italia e decine di altre specie di uccelli; poi in barca da Boccasette fino a Porto Tolle e ritorno.cicloturismo

L’ho proposto ai primi avventori della Locanda e il successo è stato tanto che, a distanza di tre anni dalla mia prima escursione, i clienti vengono da me perché il giorno successivo si aspettano di fare quella escursione in bici e in battello.

La soddisfazione maggiore me l’ha data Alessandro però, quando ha preso coscienza che da quel fiume avrebbe potuto trarre per sé un futuro migliore, semplicemente facendo quello che sapeva fare bene: guidare il suo battello e dare una speranza di rinascita per chi vive in quel territorio così tanto offeso ed annichilito da decenni di stupri ambientali che, con l’illusione di una vita migliore, hanno causato tremendi lutti e migrazioni.

Ah dimenticavo: sapete perché la “vongola filippina” ha cambiato i destini della gente del Polesine? Salite in barca e fatevelo raccontare da Luigi, ne rimarrete sorpresi!

 

partenza

 

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“Svegliaaaa la colazione è pronta!!!”
Questo è il suono che gli ospiti del Nibbio hanno udito alle sette e un quarto del mattino di una bellissima e soleggiata domenica di Febbraio.
bird whatchers
Avevo ricevuto l’ordine di “sbrandare” un gruppo di bird whatchers, calatisi in Polesine armati di canoa canadese, che si era prefissato di pagaiare un tratto del Po di Maistra alla ricerca degli ultimi uccelli invernali in procinto di partire, ed i primi ospiti che stavano arrivando a nidificare nei canneti.
Il Parco del Delta de Po, infatti, è una sorta di hub, ovvero un naturale dispositivo di rete che funge da nodo di smistamento di centinaia di varietà di uccelli diretti o provenienti da tutte le aree del mondo…un pò come quello che noi umani siamo riusciti a riprodurre nell’ultimo secolo, costruendo gli attuali aeroporti intercontinentali.darsena
Dopo una mezz’ora, e dopo essersi rimpinzati per bene con una lauta colazione, la comitiva ha fatto armi e bagagli ed è partita per la loro caccia alle immagini in direzione Boccassette.
 
Ma perché loro si e io no?
Il tempo di rassettare la locanda, fare quattro conti, e poi via in darsena a recuperare il mio kayak: direzione laguna e Scanno Cavallari, un’isola lunga e stretta che si trova di fronte a Porto Levante.
 
Era la mia prima uscita della stagione, il freddo e il grigio dell’inverno erano ormai alle mie spalle, e davanti a me si presentava un sole tiepido, una leggera brezza e una laguna piatta come l’olio.
 
“Dove pensi che non potrebbe succedere mai niente, succede sempre qualcosa” Massimo Zamboni, “Anime Galleggianti”
 silezio
A metà del mio tragitto ho tirato su la pagaia e mi sono fermato, incuriosito da una strana sensazione che mi aleggiava intorno. C’era un silenzio irreale, non si udivano voci di persone, nessun rumore di motori di barche, nessun aereo volava sopra la mia testa. Niente di niente: solo l’attrito del vento che accarezzava le mie orecchie, le piccole onde che sbattevano sul kayak ed il mio respiro.
Per cinque interminabili minuti ho potuto provare quello che un essere umano avrebbe potuto sentire al mio posto mille anni fa, o diecimila anni fa.
Ero completamente immerso nel silenzio, quello che non siamo  più abituati a sentire, quello che per qualcuno è un rumore assordante ed inquietante, quello che invece da sempre è stata la colonna sonora della nostra esistenza evolutiva.
Quel silenzio che mi ha portato a spogliarmi completamente dall’illusione di fare parte di una specie eletta capace di poter decidere del destino del mondo; quel silenzio che mi ha condotto alla soglia di percezione di fare parte integrante degli elementi che mi circondano, dato che anch’io sono elemento acqua, venuto fuori dall’acqua milioni di anni fa, ed evoluto in terra grazie ad essa.
 
Io, essere miracolato dal dono della vita.
 
Soltanto il guizzo di un cefalo saltato fuori dall’acqua mi ha svegliato dall’incantesimo.
Mi era venuta fame, lo stomaco mi ordinò di girare immediatamente il kayak e tornare a riva, mi aspettava un panino e una birra ghiacciata.
 
È stato lo spuntino più delizioso da trent’anni a sta parte!

Chi è stato a Porto Levante sa che è un piccolo villaggio di pescatori, sospeso fra laguna, mare e fiume, nel bel mezzo del Parco Naturale del Delta del Po. Sa anche che non è un luogo immediatamente raggiungibile, trovandosi lontano una decina di chilometri dalla Statale Romea, quindi fuori da tutte le grandi rotte commerciali e turistiche di massa.
Per raggiungerlo bisogna  passare attraverso una vastità di campi e risaie che si estende a perdita d’occhio: soltanto la lontana ciminiera della vecchia centrale elettrica di Porto Tolle rompe il piatto orizzonte del Polesine.
Chi è diretto per la prima volta a Porto Levante si trova ad essere un po’ disorientato nel cercare dal finestrino qualche indizio che lo riconduca ad un mare, o una laguna, ma non troverà nulla se non scorgendo la testa di qualche airone che sbuca dai campi di frumento, o di gruppi di cormorani pigramente appollaiati sui fili della luce. La comparsa di un ramo del Grande fiume, però, lo conforterà dicendogli che la direzione intrapresa è quella giusta.
È questa la caratteristica che più contraddistingue questo luogo: è lontano da tutto e da tutti, e campi e risaie diventano una sorta di zona cuscinetto, che separa la civiltà frenetica e ansiogena, dal silenzio e dalla tranquillità della natura. Comunque sia, per i disorientati ospiti arrivati a destinazione, basta il tempo di farsi una doccia, una passeggiata lungo il fiume per sgranchirsi le gambe, una bella boccata di ossigeno, e sentono presto che il veleno della città inizia a defluire per fare posto alla serenità.
Poi il silenzio e l’odore delle griglie del ristorante a fianco fanno tutto il resto!
Ma c’è chi salta a piè pari questa impasse.
Una mattina di metà Giugno mi trovavo sul molo di fronte alla locanda a chiacchierare con dei pescatori del posto. Loro mi mostravano orgogliosamente una cesta piena di pesci , e, con il loro dialetto, mi erudivano sui segreti del Grande fiume. “Co la corente  vien dentro al fiume se pesca orate, e co la va fora vien su bòseghe, co la marea ze bassa se va a peoci, co la ze alta se va in mar”  Stare con loro è proprio uno spasso, il tempo passa senza che te ne accorgi.
Lontano, all’orizzonte, vidi avvicinarsi due macchiette colorate di rosso e di giallo, muovendosi lentamente  lungo il fiume.
“Hei del Nibbio, avete una camera libera?”
Erano due amici partiti da Cremona con la loro canoa, decisi a navigare lungo il Po fino alle sue foci per poi raggiungere il mare.
IL GRANDE FIUME
Ovviamente volevo scoprire cosa aveva spinto questi due personaggi a montare su una canoa e pagaiare per tanti chilometri dalla Lombardia fino all’Adriatico e, ovviamente, si finì a cena!
Tra spaghetti allo scoglio, bisatti e branzini alla griglia e, naturalmente fiumi di Prosecco, potete ben immaginare quali storie e quanti aneddoti vennero fuori dai loro racconti.
La cosa che più mi fece riflettere, però, fu che, dalle loro facce e dai loro sguardi, le zone cuscinetto neanche le avevano viste, perché dalla prospettiva data dalla canoa, la civiltà, e tutto ciò che ne deriva, rimaneva ben lontana dalle rive del Grande fiume.
Comunque, tanto è bastato, che il giorno successivo sono salito in auto e sono andato a Treviso per tornare a casa con quattro kayak e tre canoe.
E stato lì con loro infatti che ho capito che il Polesine deve essere visto da un’altra angolazione, non soltanto da sopra la sella di una bicicletta, come fino a quel momento avevo fatto.
E ciò che successivamente ho scoperto, stando sopra a queste  piccole imbarcazioni, e vedendo, vivendo e respirando questo luogo da un altra dimensione, ha cambiato definitivamente il mio approccio con questa stupefacente meravigliosa ed immensa creatura chiamata Parco del delta del Po.
LA MIA FLOTTA

Qualche giorno fa, mi trovavo nella mia Locanda, al Nibbio, sono stato invitato invitato ad entrare in una riserva privata per assistere alla liberazione di una quindicina di uccelli, reduci da traumi o incidenti, soccorsi ed assistiti dall’Associazione Sagittaria, un gruppo di volontari che si occupa di censire ed aiutare le numerose specie di uccelli che sorvolano i cieli del Polesine.

Così ho conosciuto Enrico Vicentini, un biologo di Adria, autentico appassionato della natura ed in particolar modo del delicato ecosistema che sostiene il Parco del Delta del PO.

Liberati i volatili, Enrico mi ha fatto una proposta: “Ora Leo ti porto in un luogo magico e ti faccio scoprire un angolo del Polesine che pochi conoscono”.

Chi mi conosce sa che sono curioso di natura e certo non avrei potuto lasciarmi sfuggire un’occasione così ghiotta. Ci siamo quindi diretti a circa una decina di chilometri dal Nibbio, sulle Dune Fossili di Porto Viro.

Le Dune Fossili sono un parco dentro al parco, dove si trova ben conservata una linea litoranea risalente a più di tremila anni fa, costituita da tre linee di dune di sabbia e ricoperta da una rigogliosa vegetazione di specie arboree quali il leccio, il pino marittimo, l’olmo ecc. ed erbacee quali  licheni centenari e fiori autoctoni.

Ok, per farvi capire quale biodiversità si fosse materializzata davanti ai miei occhi, provate per un attimo ad immaginare una giornata di metà Inverno illuminata da un sole brillante e da un cielo limpido ed azzurrissimo; immaginate poi di trovarvi all’interno di un bosco, un leggero vento che agita dolcemente i rami degli alberi, ed ascoltare nel silenzio il concerto dei suoni della natura: il tic tic tic dei picchi, i versi emessi dai rapaci e dalle civette, il gracidio dei piccoli anfibi che abitano gli stagnetti del parco. Poi scoiattoli, lepri e volpi che girovagano liberamente, tracce di animaletti ovunque…

Bene, tutto ciò non è immaginazione: esiste per davvero e si trova ad un’ora di strada dalla civiltà, a 40 km da Venezia e 75 km da Padova.

cane da tartufi

“Si, è veramente bello, ma la sorpresa si trova sotto terra” disse Enrico. D’un tratto ho visto l suo cane agitarsi ed Enrico, come di riflesso, mettendosi in ginocchio, ha cominciato a grattare tra le radici dell’erba.

Come per magia, ha estratto dalla terra una pallina biancastra ed irregolare. Non volevo credere ai miei occhi: era un tartufo!

Ma cosa ci fanno i tartufi in Polesine, cos’è sta novità?

la scoperta del atrtufo“Si chiama Bianchetto o Marzuolo, un tubero che cresce durante il periodo Invernale, forse non pregiato quanto i suoi cugini piemontesi, ma molto profumato e saporito” mi ha rivelatoEnrico.

Da questo rapporto causa/effetto ne è fuoriuscita una deliziosa cenetta a base di riso del Polesine al tartufo e arrosto d’anatra insaporito con lamelle del prezioso tubero recuperato poco prima nel parco. Il tutto accompagnato da un morbido vino bianco Friulano del Collio. Semplicemente meraviglioso!

Sempre chi mi conosce bene sa che, per conquistarmi, mi si deve mettere con le gambe sotto al tavolo; quindi ovvio è stato che tale banchetto conviviale abbia suggellato definitivamente il sodalizio fra me e questa terra, e non solo: ci fu anche la presa di coscienza che lo scopo della mia missione in Polesine è dire al mondo intero che l’Italia non è solo Roma, Firenze, Venezia e Milano. E’ far sapere che dietro al cono d’ombra della la magnifica Venezia si nascondono mille preziosi gioielli come il Parco del Delta del Po, un immenso patrimonio Unesco sospeso in un delicato equilibrio fra acque, lagune e terra, ma fatto anche di gente, profumi e sapori unici nel suo genere, tutti da vivere e da scoprire.